Di un enorme campo di prigionia grande come una antica città, oggi, a meno di 100 anni dalla costruzione, rimangono solo una dozzina di edifici che possono essere visitati come un sito archeologico. Non ci aspettano però resti che lasciano immaginare lunghe evoluzioni e trasformazioni avvenute in tempi remoti, ma rovine di un luogo la cui vita si è consumata nel corso di pochi decenni del secolo scorso.
Rovine che a prima vista appaiono brutali elementi di degrado si rivelano i resti materiali delle storie delle tante persone che nel secolo scorso sono passate dal campo. Storie delle migliaia di prigionieri che ci hanno vissuto a lungo e di quelli che qui hanno perso la vita e dei pochi che sono riusciti a scappare; storie di chi qui si è addestrato per continuare la liberazione dell’Europa dal nazifascismo, di chi è stato accolto come rifugiato ma anche di chi ci è passato aspettando la fine del servizio militare di leva.
<>Quelle del campo 65 sono rovine di archeologia del contemporaneo, che non pretendono ammirazione ma rispetto e ricordo e si fanno testimoni, nella loro maestosa e silenziosa desolazione, di un assordante bisogno di pace.
*** Pur non essendo ancora attrezzato come luogo di visita, il campo 65 è facilmente raggiungibile e liberamente accessibile. Si raccomanda di seguire le tracce di viabilità ancora visibili e non inoltrarsi nelle aree interne, che risultano impraticabili e pericolose a causa della presenza di accumuli di materiale o di cavità che potrebbero essere nascoste dalla vegetazione. Si raccomanda inoltre di non avvicinarsi né tanto meno entrare negli edifici superstiti, il cui precario stato di conservazione non consente la visita in sicurezza.